Sant'Aquila era di Ponto, in Asia Minore ed era un Ebreo. Nell'anno 52 a Corinto lui e sua moglie Priscilla incontrarono san Paolo che compiva il suo primo viaggio in questa città e gli diedero ospitalità, tanto che l'Apostolo rimase con loro per molti giorni, aiutandoli nel loro lavoro di cucitori di tende (At 18:2-3). Dopo la loro conversione si misero alla sequela di Paolo, aiutandolo nella missione apostolica e accettando anche la sofferenza e il martirio quotidiano per il bene della predicazione del Vangelo, come lo stesso Paolo testimonia nella sua Epistola ai Romani, dicendo: «Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa» (Rom. 16:3). Quando e dove morirono non è noto.
Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.
Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo. Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori!