Sinassario

Nel Grande e Santo Lunedì il primo degli Eni (Laudi) del mattutino inizia così: «Il Signore, avviandosi alla volontaria passione...».

Tutta l'ufficiatura di questo giorno contempla questo volontario avviarsi del Signore verso la sua Passione salvifica. Cristo è simile a uno Sposo che va alle nozze; mistiche nozze che il Cristo celebra con l'umanità per restituire all'uomo la veste perduta, senza la quale non è possibile entrare nel talamo del Signore (Exapostilarion). Ecco perché l'ufficio del mattutino dei primi tre giorni della settimana santa è chiamato «Ufficio dello Sposo».

Il Cristo Sposo, che i fedeli contemplano nell'icona portata in processione per la chiesa, è il Cristo sofferente, coronato di spine, Lui, che sta per essere deposto nella tomba. Con il tropario che si canta durante la processione  dell'icona dello Sposo tutti sono invitati a scuotersi dal torpore spirituale e a riconoscere nel Cristo sofferente il Salvatore. L'oscurità in cui è avvolta l'anima sarà dileguata dalla luce salvifica delle sofferenze di Cristo. Una volta ripieni di luce, tutti saremo capaci di andare con Lui, con le menti purificate, lasciandoci crocifiggere e morire con il Cristo ai piaceri della vita (I degli Eni).

Oggi si fa anche memoria del casto Giuseppe e del fico maledetto. Giuseppe, venduto dai fratelli, è figura di Gesù. Come Gesù, soffrì innocentemente e per questo Iddio lo onorò come un re. Giuseppe è il simbolo dell'uomo nuovo, che attira verso un processo spirituale si riveste di gloria e di incorruttibilità avendo resistito alle lusinghe della donna egiziana. È la creatura nuova del Regno, che, spogliatasi della sua indegnità e rivestita dell'abito di nozze, entra nel talamo luminoso del Signore.

Vangelo

(Nel Vespro e Liturgia dei Presantificati)

Matteo 24,3-35

 Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo».
 Gesù rispose: «Guardate che nessuno vi inganni;  molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno.  Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine.  Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi;  ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori.  Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome.  Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda.  Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti;  per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà.  Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato.  Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.
 Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo - chi legge comprenda -,  allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti,  chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa,  e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello.  Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni.  Pregate perché la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato.
 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall'inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà.  E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati.  Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là, non ci credete.  Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti.  Ecco, io ve l'ho predetto.
 Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: È in casa, non ci credete.  Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.  Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi.
 Subito dopo la tribolazione di quei giorni,
il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,
gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte
.
 Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria.  Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli.
 Dal fico poi imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina.  Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è proprio alle porte.  In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada.  Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

Epistola

(Nel Vespro e Liturgia dei Presantificati)

LETTURE:

Esodo 1,1-21

 Questi sono i nomi dei figli d'Israele entrati in Egitto con Giacobbe e arrivati ognuno con la sua famiglia:  Ruben, Simeone, Levi e Giuda,  Issacar, Zàbulon e Beniamino,  Dan e Nèftali, Gad e Aser.  Tutte le persone nate da Giacobbe erano settanta, Giuseppe si trovava già in Egitto.
 Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione.  I figli d'Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu ripieno.
 Allora sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe.  E disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli d'Israele è più numeroso e più forte di noi.  Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese».  Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses.  Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d'Israele.  Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d'Israele trattandoli duramente.  Resero loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.
 Poi il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua:  «Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere».  Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono vivere i bambini.  Il re d'Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?».  Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità: prima che arrivi presso di loro la levatrice, hanno già partorito!».  Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte.  E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia.

Giobbe 1,1-12

 C'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male.  Gli erano nati sette figli e tre figlie;  possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine, e molto numerosa era la sua servitù. Quest'uomo era il più grande fra tutti i figli d'oriente.
 Ora i suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare anche le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme.  Quando avevano compiuto il turno dei giorni del banchetto, Giobbe li mandava a chiamare per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva olocausti secondo il numero di tutti loro. Giobbe infatti pensava: «Forse i miei figli hanno peccato e hanno offeso Dio nel loro cuore». Così faceva Giobbe ogni volta.
 Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro.  Il Signore chiese a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra, che ho percorsa».  Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male».  Satana rispose al Signore e disse: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla?  Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra.  Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!».  Il Signore disse a satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui». Satana si allontanò dal Signore.

Inni

Idù, o Ninfios èrchete
(Tropario mesonittico)

δοὺ ὁ Νυμφίος ἔρχεται ἐν τῷ μέσῳ τῆς νυκτός, καὶ μακάριος ὁ δοῦλος, ὃν εὑρήσει γρηγοροῦντα, ἀνάξιος δὲ πάλιν, ὃν εὑρήσει ῥαθυμοῦντα. Βλέπε οὖν ψυχή μου, μὴ τῶ ὕπνω κατενεχθής, ἵνα μῄ τῶ θανάτω παραδοθής, καὶ τῆς βασιλείας ἔξω κλεισθής, ἀλλὰ ἀνάνηψον κράζουσα. Ἅγιος, Ἅγιος, Ἅγιος εἶ ὁ Θεός ἡμῶν, δυνάμει τοῦ Σταυροῦ σου σῶσον ἡμᾶς.

Idù, o Nimfios èrchete en dò mèso tis nictòs. kiè makàrios  o dhùlos, on evrìsi grigorùnda; anàxios de pàlin, on evrisi rathimunda. Vlèpe un psichi mu, mi to ipno katenechthis, ina mi to thanàto paradothis, kiè tis Basilìas èxo klisthis; allà anànipson, kràzusa: aghios, àghios, àghios i, o Theòs imòn; dià tis Theotòku, elèison imàs.

Ecco, lo Sposo viene nel mezzo della notte. Beato il servo che Egli troverà desto; indegno, invece, colui che troverà ozioso. Bada, anima mia, di non lasciarti prendere dal sonno, per non essere consegnata alla morte ed esclusa dal Regno. Rientra in te stessa ed esclama: Santo, santo, santo sei, o Dio, per l'intercessione della Madre di Dio, abbi pietà di noi.
 

Ton ninfòna
(exapostilarion)

Τὸν νυμφώνά σου βλέπω, Σωτήρ μου κεκοσμημένον, καὶ ἔνδυμα οὐκ ἔχω, ἵνα εἰσέλθω ἐν αὐτῷ, λάμπρυνόν μου τὴν στολὴν τῆς ψυχῆς, Φωτοδότα, καὶ σώσόν με.

Ton ninfòna su vlèpo, Sotir mu kekosmimènon, kiè èndima uk ècho, ina isèltho en aftò. Lambrinòn mù ti stolìn tis psichìs, Fotodòta kiè sòson me.

Vedo pronta la tua camera nuziale, o Salvatore, ma non ho l'abito per potervi entrare. Rendi splendente la veste dell'anima mia, o Datore di luce, e salvami.